"La fotografia non è un problema, la fotografia è un enigma, perchè il problema ha una soluzione e l'enigma è un problema che non ha soluzione".
Questa frase attribuita a Massimo Cacciari sintetizza come definire la fotografia in maniera univoca non sia semplice. Molti critici e studiosi le hanno attribuito varie definizioni: una semplice riproduzione della realtà, un linguaggio senza un codice ben preciso, una forma d'arte, non una forma d'arte ma solo una tecnica di servizio, un prodotto d'uso o di consumo, una forma di comunicazione...insomma pensieri diversi e non definiti in modo immutabile.
Vorrei ricordare la definizione sulla fotografia di Luigi Ghirri, che riassume in pratica la sua non definibilità. "Io ho sempre guardato all'immagine fotografica come qualcosa che non si può definire, una specie di immagine impossibile. L'ho sempre vista una strana sintesi tra la stacità della pittura e la velocità del cinema. Infatti il mio tempo di osservazione di una fotografia non è molto dissimile dalle modalità di lettura di un dipinto classico; ma d'altra parte il cinema è un insieme di fotografie in sequenza. Credo che proprio in questo senso la fotografia sia una immagine impossibile: una immagine che da una parte ha la stacità della pittura, dall'altra il dinamismo del cinema".
In generale fotografare significa porsi di fronte ad una scena che colpisce, cercando di fissare al meglio ciò che osserviamo. Scattando una fotografia diamo una interpretazione personale della realtà. E una buona fotografia raramente è una fredda riproduzione degli elementi inquadrati, ma riassume l’emozione o la creatività del fotografo che l’ha scattata, insieme alla sua capacità di comunicare e raccontare.
Sostanzialmente la fotografia non fa altro che rappresentare le percezioni che una persona ha del mondo. Un altro pensiero di Ghirri ci può aiutare a capire che "si può guardare alla fotografia come ad un modo di relazionarsi col mondo, nel quale il segno di chi fa fotografia, quindi il suo rapporto personale, il suo rapporto con l'esistente, è sì molto forte, ma deve orientarsi, attraverso un lavoro sottile, quasi alchemico, all'individuazione tra la propria interiorità, il mondo interno fotografo-persona, e ciò che sta all'esterno, che vive al di fuori di noi, che continua ad esistere senza di noi e continuerà ad esistere anche quando avremo finito di fotografarla...uno strano e misterioso equilibrio tra il nostro interno ed il mondo esterno. Arriveremo a porci di fronte ad un determinato paesaggio-ambiente e metterci qualcosa in più di quello che è il nostro vissuto, la nostra cultura, il nostro modo di vedere il mondo: arriveremo a dimenticarci un pò di noi stessi. Dimenticare se stessi non significa affatto porsi come semplici riproduttori, ma relazionarsi col mondo in maniera più elastica, non schematica, partendo senza regole fisse, piattaforme precise e preordinate".
Quando noi fotografiamo vediamo una parte del mondo e un'altra la cancelliamo: "La fotografia mantiene aperti gli istanti che la spinta del tempo richiude subito". Maurice Merlau-Ponty