Spesso, parlando con amici appassionati come me di fotografia, mi capita di affrontare una questione spinosa: si possono fotografare e pubblicare immagini di mendicanti, senzatetto, persone in una condizione di indigenza o di evidente disagio psichico che incontriamo per strada o in altri luoghi pubblici?
In realtà, la risposta a questa domanda è abbastanza semplice: basta rapportarsi al soggetto fotografato per quello che è: una persona. Se modificassi la domanda e vi chiedessi: si può fotografare liberamente una persona in strada? Si può pubblicare il ritratto di uno sconosciuto? Si può fotografare o pubblicare la fotografia di una persona in stato di povertà o di grave difficoltà personale? La risposta è semplice: Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa (Art. 96 Legge sul diritto d’autore). Solo quando è richiesto dal diritto di cronaca e di informazione questo divieto è contemperato con un successivo articolo: “Non occorre il consenso della persona ritratta quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico” (Art. 97 L.D.A. comma 1). Ma non è finita qui perché, come abbiamo esaminato in alcuni articoli pubblicati sui precedenti numeri di «Fotografare», il permesso di pubblicare – o di esporre foto di soggetti riconoscibili – è ulteriormente limitato dal comma 2 dell’art. 97 L.D.A.,“Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione o anche al decoro nella persona ritratta”. Anche l’art. 10 C.C. tutela l’immagine dell’individuo e ne disciplina il ricorso al Giudice per chiedere la cessazione dell’abuso e l’eventuale risarcimento del danno. Pertanto ognuno di noi può trarre le opportune conclusioni e, semplicemente, riflettere sul fatto che è vietato dalla legge pubblicare la foto di un senzatetto riconoscibile, a qualsiasi fine e per qualsiasi scopo senza il suo preventivo consenso, e questo per due motivi. Il primo: perché parliamo del ritratto di una persona; il secondo, non meno importante, perché potrebbero essere lesi il decoro, la reputazione o l’onore della stessa, mostrando la sua condizione di evidente disagio. In realtà, tenendo a mente normative diverse, si potrebbe addirittura trovare un terzo motivo per non mostrare al pubblico quella fotografia: la violazione del diritto alla Tutela dei dati personali (il GDPR) nel caso in cui, oltre ai ritratti in cui l’individuo sia chiaramente identificabile, conserviamo nei nostri supporti informatici anche i suoi dati personali (nome, cognome, eventualmente la sua data di nascita) oppure informazioni riservate sul suo stato di salute che potrebbe emergere dalle fotografie, lo stile di vita, l’orientamento sessuale, la razza, il credo politico, ecc., potremmo addirittura infrangere la legge o dover rilasciare al soggetto l’informativa GDPR sul trattamento dei suoi dati personali raccogliendo il consenso al trattamento degli stessi. Certo, si tratterebbe di casi limite, ma se voleste realizzare un portfolio sui clochard, raccogliendo le loro storie, ritraendo i loro volti in primo piano, per poi renderli pubblici, esporli in una mostra, raccoglierli in un libro senza il consenso dei soggetti ripresi, creereste un archivio di dati sensibili e addirittura “particolari” ex art. 9 GDPR, contenenti tutte le informazioni sopra riportate.
MINORI IN DIFFICOLTÀ E INFORMAZIONI
Oltre alle leggi generali dello Stato, chi lavora nel mondo dell’informazione è tenuto al rispetto delle “carte deontologiche”, protocolli che regolano l’attività professionale nell’affrontare argomenti particolarmente critici. La Carta di Treviso, stila- ta nel 1990 e aggiornata nel 2006, è un protocollo che disciplina i rapporti tra l’informazione e l’infanzia e stabilisce, per i giornalisti e i reporter, che: “Nei casi di minori malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà, occorre porre particolare attenzione e sensibilità nella diffusione delle immagini e delle vicende, al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi a un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona; (…) tali norme vanno applicate anche al giornalismo online, multimediale e ad altre forme di comunicazione giornalistica che utilizzino innovativi strumenti tecnologici per i quali dovrà essere tenuta in considerazione la loro prolungata disponibilità nel tempo”. I giornalisti che non osservino tali regole possono incorrere nelle sanzioni previste dalla legge istitutiva dell’Ordine professionale.
IN SINTESI
Varcare il confine della legalità è semplice o, quantomeno, abbastanza facile. Magari lo si fa in buona fede. Certamente, la scusa che spesso viene accampata è che tanto nessuno di questi soggetti vi citerà in tribunale per chiedervi un risarcimento o l’oscuramento delle fotografie. Sarà la sensibilità di ognuno a decidere se sia così importante, per portarsi a casa uno scatto d’effetto, inserirvi la figura di una persona con evidenti segni di disagio ripresa per strada.